Nel maggio 1918 la Grande Guerra era ancora in corso ma a Castelfranco Veneto venivano riaperte le scuole elementari “per l’istruzione dei fanciulli ma anche per infondere animo nella cittadinanza”, diceva la delibera di Giunta: per dare un segnale che il grande pericolo stava passando e che la vita poteva riprendere il suo percorso verso la normalità. Partiva così dalla scuola il primo messaggio di fiducia e di speranza.
Cento anni fa, una Amministrazione Comunale prendeva una iniziativa che dovrebbe far riflettere chi oggi, dopo 100 giorni di chiusura per una guerra diversa ma sicuramente molto insidiosa, sta cercando di far ripartire tutto, tranne la scuola. La scuola, e non da oggi, non è mai stata ai primi posti nell’agenda di governo e, se in questi giorni se ne parla, è con l’obiettivo dei concorsi per gli insegnanti: tema importante, ma mi chiedo se prioritario in questa fase difficile, in cui centinaia di migliaia di bambini e ragazzi della scuola dell’infanzia e dell’obbligo sono stati privati di fatto di un diritto costituzionale.
Perché la DAD, la “Didattica A Distanza”, non è stata possibile né facile per molti e perché non è la stessa cosa di un insegnamento in classe. Perché chi insegna sa che le dinamiche della relazione sono importanti quanto i contenuti – nella formazione della persona – perché sono determinanti sia i rapporti fra i coetanei che quelli con gli insegnanti. E’ stata fatta la scelta più facile e antica, quella che col distanziamento ha creato meno problemi a chi governa: tutto chiuso, tutti a casa. Con la famiglia in auto-gestione per mesi, a cercare soluzioni per limitare i danni. Il distanziamento ha protetto dal Covid ma tante voci autorevoli mettono in guardia dagli effetti collaterali che pesano e peseranno sui figli ma anche sulle famiglie.
Siamo ormai agli ultimi giorni di scuola e non si è voluto tener conto di un passaggio importante come la conclusione di un anno scolastico che, verosimilmente, potrà dirsi completato solo a giugno 2021, perché questi mesi andranno recuperati. Ma chi non potrà recuperare sono i bambini di quinta elementare e i ragazzi di terza media: completeranno un ciclo importante e inizieranno altri percorsi ma non avranno la foto di classe, non avranno le ultime ore con i compagni di scuola e con gli insegnanti, dovranno salutarsi a distanza, senza uno sguardo né un abbraccio.
Sono sicura che se la scuola fosse stata ritenuta una priorità, qualcuno fra le centinaia di esperti della task force di Roma avrebbe fatto delle proposte o avrebbe analizzato con attenzione quelle che sicuramente da tanti insegnanti sono arrivate. Se l’istruzione è – per tutti gli esperti di fattori di sviluppo e crescita della società – la leva più importante, perché nell’agenda del Governo troviamo la movida, le spiagge, le palestre o i mercati e non la scuola? Salvano solo l’esame di maturità, un’ora soltanto a disposizione, pare, in presenza ma a debita distanza? Perché ci si può sedere in treno o in autobus o in vaporetto ma non sui banchi di scuola? Protetti da guanti e mascherine, come al lavoro, ma presenti e con la possibilità di guardarsi negli occhi e condividere una gioia o una preoccupazione?
Mi domando che cosa abbia impedito la riapertura, almeno nell’ultimo mese di scuola, alle ultime classi delle elementari e delle medie. Solo le quinte elementari e solo le terze medie a scuola, con tutte le aule delle altre classi a disposizione, con tutti i loro insegnanti in servizio a lavorare anche per piccoli gruppi, perché il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola. Bastava decidere che era importante, che era una priorità. Qualche Amministratore Comunale, cento anni fa, lo faceva, decideva che era importante e se ne assumeva la responsabilità. Oggi questa responsabilità nessuno se l’è voluta prendere.
Maria Gomierato, ex insegnante ed sindaco di Castelfranco Veneto
26 maggio 2020
